Roy Lewis
Il più grande
uomo scimmia
del Pleistocene
La preistoria raccontata in prima persona da un testimone del tempo, sulla base di una elementare esigenza: quella di «mangiare senza essere mangiati».
E’ questa l’invenzione narrativa di un romanzo estremamente divertente e allo stesso tempo istruttivo: la scoperta del fuoco, la lotta per la sopravvivenza, i rapporti nel clan e fuori dal clan, gli esperimenti alimentari e le mille altre scoperte, conquiste e sconfitte di un periodo “terribile e magnifico” della storia umana.
Pubblicato per la prima volta nel 1960, e poi ripreso più volte sotto vari titoli, questo libro si è fatto strada silenziosamente fra i classici della fantascienza a ritroso. Ma in realtà è un libro inclassificabile: una riflessione romanzesca su tutta la storia dell’umanità, contrassegnata dalla limpidezza e dall’ironia che appartengono alla migliore tradizione letteraria scientifica inglese.
Scritto in modo semplice e scientificamente acuto, Il più grande uomo scimmia del Pleistocene, è un ottimo viatico alla comprensione della lunghissima era in cui l’uomo è faticosamente riuscito a padroneggiare il mondo che lo circondava e che noi chiamiamo “preistoria”. Per lo stile curioso e accattivante con cui sono descritti personaggi ed eventi, può essere un’ottima lettura collettiva di classe per accompagnare l’apprendimento didattico e ramificarne numerosi approfondimenti.
Non pensate di avere in mano un testo poco serio, “romanzesco”. L’abilità di Lewis è proprio quella di elaborare narrativamente il pochissimo che si possa sensatamente considerare plausibile a distanza di decine di migliaia di anni e di cui non restano che flebilissime tracce.
Gli archeologi, quelli seri, disputano accanitamente sulla validità delle reciproche ipotesi, ma la realtà è che al di là della pompa mediatica o dell’austerità accademica, i dati sono pochissimi e le ipotesi tanto complesse quanto fragili.
Il romanzo di Lewis fa il punto molto onestamente, e con talento divulgativo. |